La proteina della longevità protegge dai danni dell'infarto

Studi in vitro e su animali ne mostrano la capacità


Una proteina legata alla longevità è in grado di rendere le cellule cardiache umane, più resilienti nel reagire a un infarto, arginandone le conseguenze. Questo spiega perché in alcune persone il cuore sembri essere più resistente e capace di tornare a funzionare in modo efficiente persino dopo un infarto. A mostrarlo è uno studio pubblicato dell'Università di Bristol insieme al Gruppo Multimedica sulla rivista Cell Death and Disease che getta le basi per future applicazioni terapeutiche del gene nella cura delle malattie cardiovascolari.
    A giocare il ruolo chiave è il gene Bpifb4, nella sua variante Lav (Longevity Associated Variant), già noto come "gene della longevità", perché particolarmente diffuso tra i centenari. Questo agisce direttamente sui cardiomiociti, ovvero le cellule che, con la loro attività contrattile, servono a far pulsare il cuore - rendendoli più performanti. In questo modo, l'organo accusa meno meno gli effetti dell'infarto, ripristinando più velocemente la sua funzionalità.
    Nella prima fase del lavoro, finanziato dal ministero della Salute e dalla British Heart Foundation, sono stati analizzati i campioni di plasma di 492 pazienti tra i 59 e i 76 anni, che avevano subìto un infarto, ed è emerso che i pazienti con malattia coronarica grave presentavano i livelli più bassi di questa proteina circolante.
    I risultati della fase in vivo hanno mostrato un effetto protettivo di Lav-Bpifb4 sul cuore, mediante il potenziando della funzione e della vascolarizzazione cardiaca: in una popolazione di topi ai quali era stato indotto l'infarto, i soggetti più resistenti, che avevano reagito meglio all'evento riportando meno danni, erano quelli a cui era stato trasferito il gene della longevità. Nella fase in vitro, i ricercatori hanno osservato che Lav-Bpifb4, "ha mostrato di migliorare la performance del cardiomiocita umano, la cellula muscolare del cuore deputata alla generazione e alla trasmissione dell'impulso contrattile, cioè del battito cardiaco", sottolinea Monica Cattaneo, ricercatrice del Gruppo MultiMedica, primo autore della pubblicazione. "Difatti, la proteina, aggiunta alla coltura cellulare, conferisce al cardiomiocita una maggior forza di contrazione e ne aumenta la frequenza del battito".
    "In tutti gli studi che abbiamo condotto negli ultimi anni, la proteina Lav-Bpifb4", evidenzia Annibale Puca, capo laboratorio MultiMedica e professore all'Università di Salerno, "ha dato prova della sua efficacia, in modelli animali, nel prevenire l'aterosclerosi, l'invecchiamento vascolare, le complicazioni diabetiche, e nel ringiovanire il sistema immunologico e cardiaco. Oggi si aggiunge la protezione dall'infarto".        Pubblicato pochi giorni prima della giornata mondiale del cuore, il lavoro è stato finanziato dal Ministero della Salute e dalla British Heart Foundation.

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