Strategie terapeutiche personalizzate
e sostenibili che, in futuro, potrebbero ridurre la dipendenza
dai farmaci in pazienti selezionati che vivono con l'Hiv. È
questa la strada che si apre grazie allo studio realizzato
dall'ospedale pediatrico Bambino Gesù in collaborazione con
l'università di Roma Tor Vergata e il Massachusetts Institute of
Technology (Mit) di Boston, che ha identificato i biomarcatori
chiave - i 'codici' del sistema immunitario - nei pazienti
trattati precocemente che si associano a una presenza
estremamente ridotta del virus dell'Hiv nell'organismo. Un
gruppo di adolescenti e giovani adulti nati con l'Hiv e trattati
fin dalla prima infanzia ha mostrato, infatti, una notevole
capacità di controllo dell'infezione, mantenendo il virus in uno
stato quasi inattivo.
L'analisi immunologica approfondita è stata possibile grazie
all'utilizzo di una procedura di leucoferesi, che ha consentito
la raccolta di grandi quantità di linfociti in maniera sicura,
permettendo una caratterizzazione avanzata del sistema
immunitario. I dati ottenuti hanno evidenziato una quasi totale
assenza di provirus intatti (le forme attive e replicanti del
virus) e la presenza di cellule natural killer (NK) altamente
funzionali anche a distanza di decenni, segno di un'immunità
innata potenziata. Un'altra osservazione importante riguarda la
localizzazione del virus residuo: in alcuni casi, l'Hiv è
presente in aree geneticamente inattive del genoma umano, dove
ha minime possibilità di replicarsi. Questo potrebbe essere il
risultato della pressione esercitata dalla terapia precoce, che
spingerebbe il virus verso zone silenti e meno pericolose.
Parametri molto importanti dal punto di vista clinico, perché
possono aiutare a riconoscere quei pazienti per cui è possibile
valutare, in modo sicuro, la sospensione della terapia
antiretrovirale.
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