Con oltre 750.000 casi di infezioni
delle vie urinarie l'anno in Italia e un trend di aumento
inarrestabile del 18% l'anno, l'uso improprio di antibiotici in
urologia, che riguarda fino a 4 pazienti su 10, sta divenendo
una componente preponderante del problema delle resistenze
antimicrobiche nel paese. È quanto riferito all'ANSA dal
presidente della Società Italiana di Urologia Giuseppe Carrieri
dell'Università di Foggia, anticipando uno dei temi centrali del
prossimo Congresso Nazionale, giunto alla 98ª edizione, che si
terrà dal 6 al 9 novembre a Sorrento.
                                    
                                       
				   "Vi è la tendenza ad un'inadeguata gestione di queste
infezioni - sottolinea Carrieri - sovente c'è autogestione da
parte del paziente perché le infezioni urologiche sono spesso
recidivanti e quindi il paziente tende al fai-da-te senza
riconsultare il medico, specie se nel suo armadietto dei farmaci
ha l'antibiotico prescrittogli in precedenza".
                                    
                                       
				L'antibiotico-resistenza parte proprio dall'uso improprio:
antibiotici sbagliati o usati inutilmente laddove l'infezione
non è batterica e quindi dell'antibiotico si può fare a meno.
                                    
                                       
				"Quindi - spiega - meglio evitare il fai-da-te, rivolgendosi al
medico di base e nel frattempo far ricorso all'antinfiammatorio
per ridurre i sintomi spesso fastidiosi di un'infezione,
mantenendo una buona idratazione e regolarizzando l'intestino
per guadagnare tempo in attesa dei risultati dell'esame delle
urine, sempre indispensabile per capire se c'è una infezione
batterica in atto e di che tipo. Assumere antibiotici inutili -
prosegue - non è mai a costo zero in termini di effetti
collaterali su funzionalità renale, epatica e intestinale".
                                    
                                       
				   Una scelta sconsiderata a livello individuale ha anche
ricadute in termini di salute pubblica, infatti la resistenza
agli antibiotici in urologia è ormai dilagante, basti pensare
che fino al 30-50 per cento dei ceppi di Escherichia coli,
responsabile di oltre il 70% delle infezioni delle vie urinarie,
è resistente a antibiotici comunemente usati, come
trimetoprim-sulfametossazolo; il 20-30% dei ceppi di E. coli ai
fluorochinoloni. Sempre più pazienti ospedalizzati e con
catetere urinario per troppo tempo vanno incontro a infezioni da
batteri multiresistenti. Inoltre, circa il 50% dei batteri
isolati nei campioni di pazienti con infezioni ricorrenti è
resistente ad almeno tre classi di antibiotici.
                                    
                                       
				   "Abbiamo avviato attività di formazione a distanza rivolte a
urologi, medici di base e farmacisti, e una collaborazione con i
farmacologi per promuovere la ricerca di nuove molecole
alternative agli antibiotici tradizionali - anticipa Carrieri -
e parallelamente, programmi di antibiotic stewardship in diversi
centri italiani stanno dimostrando che è possibile ridurre
sensibilmente le prescrizioni inappropriate senza compromettere
la sicurezza dei pazienti. Sul fronte diagnostico, stanno
emergendo biomarcatori innovativi, molecole come 'Ngal' e 'Il-6,
Il-8, per la diagnosi precoce delle infezioni urinarie e del
danno renale, pur non essendo ancora di uso routinario",
conclude. 
                                    
                                       
				          
                                
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