Un nuovo farmaco riduce
significativamente, rispetto ad altre terapie, le ricadute nei
pazienti con sclerosi multipla. Lo dimostra lo studio di fase 3
'Fenhance 2', sulla molecola fenebrutinib, un inibitore della
tirosin-chinasi di Bruton (Btk) che ha ridotto
significativamente il tasso annualizzato di ricadute (Arr)
rispetto a teriflunomide su un periodo di trattamento di almeno
96 settimane nei pazienti con sclerosi multipla recidivante.
Anche lo studio pivotale di Fase 3 'Fentrepid', che ha valutato
fenebrutinib confrontato con ocrelizumab in pazienti con
sclerosi multipla primariamente progressiva, ha raggiunto il suo
endpoint primario. I risultati hanno mostrato che fenebrutinib è
risultato non inferiore rispetto a ocrelizumab, l'unica terapia
approvata per la patologia, nel ritardo nell'insorgenza della
progressione in un periodo di trattamento di almeno 120
settimane. Il beneficio di fenebrutinib rispetto a ocrelizumab è
stato osservato già alla settimana 24 ed è durato per tutto il
periodo di osservazione. La sicurezza epatica è risultata in
linea con i precedenti studi su fenebrutinib. Ulteriori dati di
sicurezza sono in fase di valutazione. Fenebrutinib ha come
bersaglio i linfociti B e la microglia. Avere come bersaglio i
linfociti B e la microglia permette di controllare
l'infiammazione acuta causa di ricadute e la progressione della
malattia causa di disabilità a lungo termine. Fenebrutinib, un
Btki non-covalente, è progettato per avere elevata potenza,
selettività e reversibilità. Avere tali caratteristiche
consentono a fenebrutinib di attraversare la barriera
emato-encefalica esercitando un'azione diretta nel sistema
nervoso centrale.
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