Alzheimer, con molecole killer diagnosi 20 anni prima di sintomi

Il neurologo, 'fondamentale per inizio tempestivo terapie'


Sono oltre 1 milione e 200 mila le persone le persone con demenza in Italia, e di queste, la metà, circa 600mila soggetti, convive con la malattia di Alzheimer. Un numero destinato a salire, a causa del progressivo invecchiamento generale della popolazione. Ma nuove speranze arrivano dalle scoperte sui meccanismi della malattia, che consetiranno diagnosi sempre più precoci, e dai farmaci innovativi. Il tema sarà approfondito nel convegno 'La scienza medica al servizio dell'umanità' organizzato dalla Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri), che vedrà, il 27 e 28 novembre prossimi, confluire a Roma esperti internazionali per discutere sulle nuove frontiere della medicina. "Quando si parla di Alzheimer i principali indiziati sono due molecole 'killer', la cui scperta ha rivoluzionato sia la diagnostica sia la ricerca di farmaci per rallentare l'evoluzione della malattia - spiega Massimo Tabaton, professore ordinario di Neurologia all'Università degli Studi di Genova -. Negli ultimi trent'anni, la ricerca attraverso l'analisi dei fluidi biologici e con la Pet, la tomografia a emissione di positroni, una tecnica di imaging, delle due molecole killer, la beta-amiloide e la proteina tau, ha inaugurato l'era dei biomarcatori, che hanno consentito di migliorare l'accuratezza diagnostica e di indicare il rischio di malattia in fase preclinica. Infatti, le alterazioni cerebrali iniziano all'incirca vent'anni prima della comparsa dei sintomi.
    Il precoce accertamento della patologia è fondamentale per l'inizio tempestivo delle terapie, presto disponibili anche in Italia, che rallentano la progressione della malattia". I farmaci innovativi sono due anticorpi monoclonali, Lecanemab e Donanemab, che eliminano la beta-amiloide accumulata nell'encefalo. "Questi farmaci - aggiunge Tabaton - riducono nel corso di un anno la progressione della malattia rispettivamente del 27% e del 40%. Hanno però effetti collaterali, microemorragie e edema cerebrale, che danno sintomi nel 4% dei casi". Queste terapie, spiega ancora l'esperto, "sono limitate a casi con demenza lieve, iniziale, e a casi di 'Mild Cognitive Impairment', una condizione che corrisponde a persone con esclusivo deficit della memoria e una normale attività sociale.
    In pratica, una fase prodromica di Alzheimer".
   

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