Dolore cronico, tra possibili cause anche traumi irrisolti

Lo studio. Ascione, 'corpo custodisce le esperienze avverse'


Il dolore cronico non sempre è esclusivamente di tipo organico ma può essere espressione corporea di un trauma irrisolto. Lo sostiene uno studio sul trattamento multidisciplinare del dolore cronico presentato nei giorni scorsi all'International Conference on Neuropsychiatry di Parigi. Il nuovo approccio proposto si chiama Modello narrativo-neuropsicosomatico del dolore cronico (Mnndc), ed è fondato su tre livelli: neurobiologico, psicoanalitico e narrativo, con il dolore che viene letto come una 'narrazione incarnata'. "Alcune sindromi dolorose e apparentemente misteriose acquistano senso se considerate 'narrazioni corporee' di un trauma - ha spiegato Annamaria Ascione, socia Aisd (Associazione italiana per lo studio del dolore), membro del comitato tecnico-scientifico dell'Assimefac (Associazione società scientifica nazionale di medicina di famiglia e comunità) e autrice dello studio -. Il corpo può 'custodire' traumi non detti che si esprimono sotto forma di dolore. Il compito dei clinici, quindi, non è ridurre i sintomi ma aiutare il paziente a 'tradurre' quel dolore in parola e racconto, per fargli perdere parte della sua potenza distruttiva e farlo diventare occasione di consapevolezza e di dialogo".
    Ascione ha presentato due casi clinici: quello di una donna con cistite interstiziale cronica e quello di un giovane con fibromialgia e dolore neuropatico. In entrambi i casi, i sintomi fisici vengono interpretati come 'narrazioni somatiche' di una profonda sofferenza emotiva, legata a esperienze infantili caratterizzate da violenza familiare. Il primo caso illustra come il dolore vescicale della donna diventi una barriera, una difesa contro l'eccessiva vicinanza e il rischio di un contatto intimo vissuto come minaccia (la paziente assisteva da bambina alle violenze del padre che picchiava la madre). Il secondo caso mostra come il dolore fibromialgico e neuropatico diventi un meccanismo di 'blocco' che impedisce al ragazzo di diventare violento come il padre che maltrattava la madre.
    Un approccio multidisciplinare e integrato tra medicina narrativa, psichiatria e psicoterapia analitica ha permesso ai pazienti di dare un nuovo significato alle radici emotive del loro dolore, riducendo la necessità di un trattamento farmacologico. Entrambi, inoltre, hanno constatato una riduzione dei sintomi, la donna dopo due anni, il ragazzo dopo 18 mesi di trattamento.
   

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